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5 Agosto 2016
2016 | Kollektivet | La comune (Thomas Vinterberg)
2016 | Kollektivet | La comune (Thomas Vinterberg)
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Il film di Thomas Vinterberg del 2016 è un’opera per certi versi non semplicissima da digerire in quanto offre più domande che risposte.
Sembra infatti difficile capire quale sia il punto di vista autoriale sebbene la narrazione problematizzi evidentemente la questione della vita in collettività, soprattutto per quel che riguarda la nascita di passioni e di amori tendenti verso l’esterno, ma allo stesso tempo offre uno sguardo decisamente minaccioso verso le forme contemporanee di individualismo.

-IMPRESSIONI SUL FILM: attenzione agli spoilers.

Kollektivet parla dell’esperienza di un collettivo di uomini e donne che decidono di vivere in comune all’interno di un appartamento e che prendono le decisioni di casa per votazioni in riunioni collettive e nella quale tutti hanno diritto ad esprimere le proprie opinioni liberamente.
L’inizio dell’opera apre sulla gioia effettiva di comunicare ed avere una vita in comunità con più persone all’interno di una casa che in effetti si costituisce come una grande famiglia nella quale ognuno ha il proprio spazio per condividere con altri i propri progetti, le proprie gioie e le proprie paure.
Il maggiore focus narrativo è dato ad Erik, Anna e la loro figlia Freja che sono gli iniziali proprietari dell’appartamento che decidono di mettere a disposizione della comunità.
Il film sembra indicare una situazione sociale piacevole nella quale tutti possono vivere bene, ma è proprio nei momenti in cui la situazione sembra funzionare meglio che avviene la prima rottura: Erik è un docente universitario e si innamora, corrisposto, di una sua studente, Emma.
Inizialmente le bugie sembrano reggere l’apparente superficie di felicità che resta caratteristica principale della “comune”, ma ben presto Erik verrà scoperto proprio dalla figlia e ,un po’ liberato dal tenersi tutto nascosto e un po’ costretto, si confessa a sua moglie Anna.
La donna sulle prime accetta tutto in maniera tranquilla e pacifica almeno sul piano riflessivo, poichè nei suoi occhi si vede già una certa forma di difficoltà emotiva dovuta alla notizia. Erik, cercando di evitare una inevitabile rottura emotiva si trasferisce all’esterno del collettivo per poi ritornarci quando durante un incontro con Anna in cui dice che ha necessità di trovare un alloggio per lui ed Emma, proprio lei gli propone di ritornare alla casa. Erik accetta e propone al collettivo la loro presenza: è qui che i primi segni si fanno piuttosto chiari, Anna è distrutta, Erik ha uno scatto d’ira dove cerca di imporsi come il proprietario della casa e far valere le sue ragioni su quelle del collettivo.
Tutto sembra rientrare nei binari della normalità collettiva, ma Anna scivola nell’alcolismo, non torna a casa per giorni e quando lo fa confessa davanti a tutti di aver sognato Erik prenderla mentre Emma dorme.
L’esperienza sembra ormai accompagnata da una certa forma di angoscia sotterranea e dopo numerosi segni che dichiarano apertamente come Anna si trovi sul filo della distruzione nervosa, il collettivo, specie nella voce della figlia Freja, le consiglia di trovare un’altra sistemazione temporanea per rimettere a posto i nervi. Tutto però sembra in un certo senso contaminato e l’esperienza sembra incrinata, questa sensazione si trasforma in realtà con la morte di Vilads, bambino precoce che conosce l’età in cui morirà e che quasi scimmiottando gli atteggiamenti di cui è testimone chiede ad Emma se andranno a letto, quando lei arriverà a casa nel collettivo. Vilads muore, con lui una certa forma di innocenza e una certa idea di vita collettiva. In un certo senso il vero punto di svolta del film diventa questo e il collettivismo prende una strada diversa e si incanala verso una forma di individualismo: un esempio può essere il fatto che durante il discorso che segue la morte di Vilads, il padre di quest’ultimo quasi come se calato in un contesto religioso si affida ad una vita e ad un luogo migliore per il figlio morto. La scelta religiosa e quindi di un collettivismo diverso e le parole di un luogo migliore si scontrano con quelle del luogo della comune che per larghi tratti era stato rappresentato come il miglior posto possibile. La malinconia e nostalgia per un tempo passato consiste anche nella musica emotivamente contrastante che c’è durante le scene di cui si compone la sequenza della morte di Vilads che aiuta sì nella de-drammatizzazione, ma comporta anche lo spostamento di senso rispetto alla fine stessa del bambino, rendendolo meno drammatico, ma più simbolico.
Il cambiamento dei tempi, il capovolgimento sociale che conduce ad una forma esasperata di individualismi ed egoismi è segnalato ancor di più nel finale quando Freja ,che va a trovare il suo ragazzo, scopre dell’esistenza di un nuovo oggetto: il walkman, simbolo per eccellenza di una collettività che si trasforma in individualismo (dai vinili alle cuffie, dall’ascolto collettivo all’ascolto individuale) seppur lei guardi verso il mare (le ceneri di Vilads vengono sparse in acqua) e acquisisca contemporaneamente una posizione certamente nostalgica verso il passato, ma anche calata nel nuovo futuro.
Sembra tutto andare verso questa nuova connotazione sociale come avviene nelle ultime sequenze attraverso il sorriso che si apre sul volto di Erik dopo il pianto, lasciato però ad un primo piano singolo, andando a segnalare forse una precisa forma di individualismo, poiché Erik non è in grado di fermare Anna e di aiutarla perchè troppo assorto nella sua vita e nelle sue passioni (è una colpa? Ancora una volta il film non risponde). Poi però il film sembra capovolgere il senso, enigmatizzandolo, proprio perché sembrerebbe doversi chiudere su un primo piano individuale ed invece, forse mostrando la posizione di chi narra, va di nuovo su un campo/piano collettivo sul quale il film si ferma e compare il titolo così facendo sollevandosi dal campo semantico di una critica ingenua del collettivismo (ed una direzione verso l’individualismo) contro il quale il film fino alla fine riesce a non schierarsi mai. Il film così offre una ricapitolazione, come a dire che il passaggio estremo da una dinamica all’altra non possa essere di certo inteso come miglioramento, ma che forse una certa compenetrazione, piuttosto che ribaltamento, possa essere necessario.
Dal punto di vista drammatico e nell’ambiguità di fondo che sostiene la superficie del film è un’opera decisamente riuscita, ma seppur parli di emozioni, sensazioni, sentimenti si tratta per alcuni momenti di un film algido. Non necessariamente questo è un limite, anzi, de-dramatizzando l’emozione favorisce lo sviluppo riflessivo. Ciò che però non rende questo film capace di raggiungere le vette di altri film di Vinterberg come ad esempio il precedente Il sospetto, a mio personalissimo parere, è la difficile sfumatura tra ambiguità e superficie che è troppo estremizzata sul versante della superficie rendendo un po’ piatte alcune dinamiche che la narrazione fa di tutto per rendere profonde, problematiche e ambigue: un film così complesso sul piano drammaturgico (non necessariamente di plot narrativo) necessitava di sottintesi, sottolineature e sfumature che non sempre sembrano perfettamente riuscite, pur offrendo un panorama sociale che resta interessante da guardare e su cui riflettere ampiamente.

© 2016 Labyrinth Production – Tutti i diritti riservati – opera tutelata dal plagio, deposito n° 46066 (patamu)

 
 
 
 
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Posted in Film, Schede
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