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12 Giugno 2020
HBO e il caso “Via col Vento”. Memoria e razzismo.
HBO e il caso “Via col Vento”. Memoria e razzismo.
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La decisione di HBO di togliere dalla propria piattaforma “Gone with the Wind” (1939,”Via col Vento”), ha riacceso una polemica nell’ambiente cinematografico riguardo la necessità di oscurare opere che contengono simboli offensivi e i riverberi che questo tipo di scelte porta sul piano del linguaggio audiovisivo.

HBO ha deciso di sospendere temporaneamente, sulla propria piattaforma MAX, la possibilità di guardare il film Gone with the Wind.
In seguito agli eventi scatenati dall’ennesimo sopruso delle forze di polizia statutinensi nei confronti di persone afroamericane e le manifestazioni del movimento Black Lives Matter (indispensabili, vista la coltre di “silenzio” riguardo questo problema e la resistenza che tuttora si riscontra in alcuni strati sociali), HBO ha preso questa decisione facendo riaffiorare le polemiche sulla necessità o meno di censurare o “cancellare” parti della cultura.

Giusto o meno censurare?

Al di là di quelle polemiche sottilmente (o meno sottilmente) razziste (così retrograde che andrebbero affrontate tramite uno studio psichiatrico delle persone coinvolte) alcuni spunti interessanti vengono aperti dalla domanda se è giusto o meno “censurare” un film, per quanto alcuni tratti di quel film rappresentino una cultura vecchia che si regge su stereotipi offensivi e dannosi nei confronti di numerosi gruppi sociali.

Secondo noi, no. Perché?

Siamo convinti che al di là del film specifico (Gone with the Wind) e dei presupposti culturali palesemente errati, un film sia figlio di un determinato contesto storico: questo produce un cortocircuito che rende numerose opere soggette a terreni morali “sbagliati” nel momento in cui sono ricevute e viste decenni dopo.
Spike Lee, in una lezione del progetto “Masterclass“, racconta che ha partecipato, da studente, ad una lezione che prevedeva la proiezione di The birth of a Nation (1915) di D.W. Griffith: film che mostra palesi problematiche razziste (basti pensare che offre uno sguardo sulla nascita del Ku Klux Klan) e restituisce un’immagine delle persone di colore assolutamente offensiva e insultante. Il regista afroamericano fu colpito, al pari del film, dall’assoluta mancanza di spiegazione contestuale su quello che si vedeva nella pellicola: in pratica, l’assenza di una discussione che approfondisse il modo in cui venivano messi in scena degli stereotipi razziali e il contesto sociale per cui queste immagini venivano mostrate e “accettate”.
Il fatto stesso che nessuno le sottolineasse, né sentisse la necessità di affrontare il discorso, crediamo facesse sentire Spike Lee come se tutti quegli stereotipi fossero ancora attivi e “silenti” (la storia mostra come purtroppo non fosse in errore).

Questo aneddoto fa emergere il fatto che la lezione (e in generale la cultura dell’epoca) non è stata in grado di offire un “aggiornamento”, uno studio del “contesto” del film.
Questo fattore dovrebbe essere considerato fondamentale nello studio del cinema, in quanto molti film, prima ancora del livello “della storia”, offrono un’immagine di un determinato momento e una traccia di cos’era quel preciso periodo storico. Pensiamo ad alcune opere del neorealismo italiano, che mostrano con precisione uno spaccato storico, oppure ad alcuni lavori dei Lumière: piuttosto che offrire solo una storia, danno conto di una traccia precisa lasciata dall’epoca in cui la macchina da presa è stata accesa o anche (a volte inconsapevolmente) un controcampo sociale (l’uscita dalle fabbriche).
Qualunque approccio al cinema che dimentichi questo fattore importante è qualcosa che fa un disservizio alla storia stessa del cinema e dell’umanità.

Provocatoriamente, l’alternativa a questa contestualizzazione sarebbe quella di dover “cancellare” ogni anno i film dell’anno precedente, in quanto il nostro sistema di valori è (fortunatamente) in continua mutazione – e laddove non lo è (come nel caso del razzismo sistemico) le società hanno dei problemi.

L’importanza del linguaggio audiovisivo.

Tra le altre cose che si possono analizzare in un film – soprattutto a posteriori – vi è lo studio del dispositivo stesso della macchina da presa utilizzata e di conseguenza del linguaggio audiovisivo. E forse è su questo piano che si capisce ancora di più l’importanza del valore storico di alcune opere cinematografiche.
Non tanto il piano narrativo dunque, noi siamo convinti che è il linguaggio audiovisivo (soprattutto nelle opere che ne tentano un rinnovamento), l’estetica (volendo anche in senso più largo e filosofico), ad avere un impatto diretto sulla cultura e a cambiare le società: lo fa andando ad erodere le convinzioni, andando quasi a spingere uno spettatore a guardare un qualcosa di “ricorrente” (in fondo un gran numero di film ricorrono sempre “alle stesse storie”) con un occhio diverso, nuovo, innovativo e rinnovante. È secondo quest’ottica (e chiaramente con dovuto studio del contesto socio-politico) che è ancora interessante guardare alcuni dei film girati da Leni Riefenstahl nella sua epoca nazista, non fosse altro che per evitare di ripetere gli errori (linguistici, ma principalmente socio-politici). “Cancellare” completamente una figura come Leni Riefenstahl porterebbe ad un assopimento della memoria storica, e l’oscuramento delle dinamiche del linguaggio audiovisivo ad un impigrimento collettivo.

Il linguaggio dunque: citiamo ancora una volta Spike Lee che accende la luce su quanto il conservare la memoria anche di cose offensive e che offrono immagini orribilmente stereotipate ha un suo motivo, quando dice che per BlacKkKlansman (2018) – un film che prende a testate un certo tipo di America – ha utilizzato determinate tecniche di narrazione audiovisiva (come ad es. l’intercutting o anche cross-cut) di cui lo stesso D.W. Griffith è stato tra i maggiori fautori.
Spike Lee utilizza una figura stilistica di linguaggio presa in prestito proprio da uno di quei film che oggi si penserebbe “da censurare”, gli ha reso un nuovo potere e l’ha rivolto esattamente in direzione contraria, cercando di colpire ed affondare proprio quel lato dell’America che si “riconosce” (in maniera inaccettabile e culturalmente retrograda) nelle immagini stereotipate di quel film.

Il contesto di un’opera e la ricezione critica.

È il contesto, lo studio culturale, l’approccio ad una ricezione critica (piuttosto che passiva) che va associata ad un tipo di film del genere (così come per Gone with the Wind) piuttosto che il nascondere queste opere, o meglio far finta di “cancellarle”. Far capire perché l’utilizzo del blackface è errato e i modi in cui questo “simbolo” è stato portatore di violenza, piuttosto che nasconderlo sotto il tappeto, per far finta che va tutto bene.
Nascondere, cancellare, oscurare, sono parti di un processo pericoloso, in quanto favoriscono la frammentazione sociale e le conseguenze di tale frammentazione sono quelle di incattivire ancora di più il lato “cieco” della discussione e favorire una narrativa da “assedio” di cui una certa parte sociale – in special modo quella zona grigia degli Stati Uniti che trova la sua ribalta nell’elezione di Trump a Presidente – ha bisogno per sentirsi rappresentata e che si è nutrita socialmente proprio della mancanza di studio critico e culturale e probabilmente (come si capisce dall’annedoto di Spike Lee) di insegnamenti di cattivi maestri.

Ma non solo, la scelta di cosa si può vedere o meno è il luogo per eccellenza in cui si annida il germe più pericoloso del potere, quello che decide di oscurare qualcosa o qualcuno per raccontare una sola, precisa, controllata visione della storia. Quella che ad esempio ha lasciato fuori dai libri di storia (in questo caso parliamo di cinema) figure come Alice Guy per favorire uno storytelling maschilista o di chi come Hitler (e Goebbels) ha deciso di bruciare le copie d’archivio dei film di Fritz Lang, dopo la fuga dalla Germania ed il rifiuto del regista a collaborare. Se alcuni dei film di Lang sono ancora disponibili agli occhi di tutti (e ammirati) lo si deve al fatto che (fortunatamente) il Nazismo non ha retto l’onda della guerra. Altrimenti, probabilmente, non saremmo neanche su Internet a discutere se sia giusto o meno “censurare” questo o quello: ci sarebbe probabilmente un Ministro della Propaganda a decidere al posto nostro.

Dunque, non deve essere in discussione il fatto che vada affrontata una discussione ampia e approfondita sui simboli, i segni di epoche lontane che rappresentano cose assolutamente sbagliate e anche di sottolinearne con precisione e coraggio le problematiche e il portato offensivo. Ma noi crediamo anche che se c’è qualcosa che questo momento storico insegna, lo si trova proprio in questo: non permettere che qualcuno faccia scelte al posto nostro e decida di “cancellare” qualcosa, perché è esattamente ciò che è stato fatto finora con l’effetto, ad esempio, di “nascondere” il problema razzista.
Se a questo ci aggiungiamo che sono società private – notoriamente sensibili a “dove soffia il vento” socio-politico, piuttosto che a posizioni prese con coscienza – ad essere responsabili di queste decisioni (HBO, in questo caso) e che forse hanno più interesse nello stoppare sul nascere probabili polemiche per evidenti ripercussioni economiche, piuttosto che favorire un’ampia discussione sui motivi per i quali una determinata opera contiene simboli dannosi e sugli effetti che questi hanno sulle persone, ci sembra ancora più importante affermare come questa dinamica sia sbagliata.

Il rischio di perdere “memoria” induce quello del ritorno del “rimosso”.
Mentre grazie alle manifestazioni che cercano di alzare il livello di coscienza sul problema razzista (ancora orribilmente comtemporaneo) portando alla luce ciò che è stato tenuto “celato” finora, la decisione di “nascondere” un film, dal sembrare di voler essere “un piccolo passo per l’uomo”, si rivela pericolosamente essere un “gigantesco balzo [indietro] per l’umanità“.


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